L’antica arte del tatuaggio e i suoi legami con le altre forme artistiche: l’illustrazione dei tarocchi, le stampe d’arte e il visionario Salvator Dalì
Il tatuaggio è indubbiamente una forma d’arte. Dalle sue origini, che possiamo far risalire alla nascita dell’uomo pensante, è una delle forme d’espressione che l’essere umano ha per decorare ed impreziosire la propria forma corporea, per rivelare esternamente quanto risiede nel suo intimo: paure, memorie, successi, ostacoli superati o da superare.
Che dire delle meravigliose decorazioni rinvenute sui corpi delle mummie di Pazyryk? I corpi di questi antichi cavalieri, risalenti al VI – III secolo avanti Cristo, sono stati individuati nel cuore dell’Eurasia, sui Monti Altay, ai confini fra Siberia, Mongolia e Cina.
La cultura espressa da questi uomini è raffinatissima e non si può che parlare di arte, un’arte che narra di passione per la caccia e per il mondo naturale con cui vivevano a strettissimo contatto.
Non solo uomini possenti, ma anche donne coraggiose erano meritevoli di decorare il proprio corpo: nel 1993 gli archeologi hanno portato alla luce la mummia di una donna divenuta famosa col nome di “Dama del Ghiaccio”. Perfettamente conservato e risalente al V secolo AC, il corpo di una ragazza sui 25 anni dai capelli biondi, alta circa 1,65 m, presenta diversi tatuaggi di un blu intenso sulla sua pelle chiara. I disegni ritraggono creature dotate di lunghe corna che si compongono in immagini floreali, in un motivo armonioso e fluido.
L’arte però non racconta solo la vita di questi uomini e queste donne strettamente legata al mondo naturale, i tatuaggi di queste mummie sono anche ricchi di elementi fantastici, motivi floreali che testimoniano il loro legame fortissimo con la Natura e bestie di fantasia mutuate al loro immaginario. Fra queste è possibile riconoscere una figura simile ad un grifone; tradizionalmente questo animale fantastico è rappresentato con corpo di leone (che gli assicura il dominio sulla sfera terrestre) e le ali e la testa d’aquila (che invece gli donano il dominio sulla sfera vitale dell’Aria).
Dunque il tatuaggio è fin dall’antichità un’arte che mutua simboli e forme da altre modalità espressive, come la pittura murale, l’architettura o la decorazione di oggetti.
Questo stretto rapporto con tutte le forme espressive esiste ancora oggi, non solo per simboli e forme, ma anche come fonte di ispirazione per soggetti importanti che, grazie all’abilità dell’artista, si trasformano in tatuaggi.
I tarocchi hanno origine antica: inizialmente un mazzo di carte da gioco, generalmente composto da 78 carte utilizzate per giochi di presa risalente alla metà del XV secolo nell’Italia settentrionale, a partire dalla fine del XVIII secolo i tarocchi furono associati alla cabala e ad altre tradizioni mistiche. Negli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento le dottrine esoteriche sui tarocchi furono fissate definitivamente dagli occultisti francesi Papus (pseudonimo di Gérard Encausse) e Oswald Wirth.
Il tipico mazzo di tarocchi è composto da un mazzo di carte tradizionale a cui si aggiungono ventuno carte dette Trionfi e una carta singola detta Il Matto. I Trionfi sono generalmente illustrati con figure umane, animali e mitologiche e numerati da 1 a 21, spesso in numeri romani. Nella terminologia introdotta dalle teorie esoteriche i Trionfi e il Matto sono detti collettivamente arcani maggiori e le carte rimanenti arcani minori.
I primi usi documentati dei tarocchi come strumento per la cartomanzia risalgono al XVII secolo a Bologna, mentre la diffusione moderna in associazione con l’occultismo risale alla fine del XVIII secolo e nel tempo le figure sono state variate e ridefinite. Anche artisti moderni di grande calibro hanno interpretato i Tarocchi; fra essi Renato Guttuso, Salvador Dalí e Niki de Saint Phalle, autrice del fantastico Giardino dei Tarocchi costruito a Garavicchio, presso Capalbio.
La dodicesima carta degli Arcani Maggiori è L’Appeso, nei mazzi più antichi talvolta indicato anche come Il Traditore. Viene utilizzato sia nei giochi di carte sia a scopo divinatorio.
Nelle rappresentazioni moderne, l’Appeso è un giovane che appare capovolto, appeso per una caviglia al ramo di un albero o allo stipite superiore di una cornice. Ha una gamba piegata dietro l’altra e i polsi dietro la schiena, presumibilmente legati poiché la posizione nel complesso è associata a un supplizio pubblico. Malgrado questo, il giovane viene tradizionalmente raffigurato con un volto sereno, in preda all’estasi più che al dolore o all’umiliazione. A questi elementi, oltre che alla intrinseca ambiguità grafica della carta (che si presta a essere osservata capovolta) si riconducono molti dei significati simbolici associati all’Appeso in cartomanzia, che lo associano all’accettazione, all’armonia interiore o alla capacità di trascendere le convenzioni e osservare il mondo da un punto di vista più spirituale.
Anche la stampa d’arte spesso è fonte di ispirazione di tatuaggi, che riprendono forme e significati nascosti in illustrazioni di secoli fa.
Il Sonno della Ragione genera mostri (El sueño de la razón produce monstruos) è un’opera realizzata ad acquaforte e acquatinta del 1797 dal pittore spagnolo Francisco Goya, ed è compresa nella raccolta di ottanta incisioni chiamata Los caprichos come foglio n° 43. La serie de I Capricci è stata pubblicata nel 1799 e raccoglie opere che, in chiave allegorica, ritraggono vizi e miserie umane, ma anche soggetti fantastici o grotteschi.
Il Sogno della Ragione genera mostri ha da sempre affascinato il pubblico proprio per l’inquietudine e la ricchezza simbolica che esprime: l’opera è appunto suddivisa in due parti, da una lato vi troviamo l’uomo, probabilmente l’artista stesso, dormiente ovvero il sonno della Ragione sopita; dall’altra sono presenti i mostri. Il dormiente, infatti, viene oppresso come in un incubo da sinistri uccelli notturni, inquietanti volti ghignanti e da un diabolico felino, che, in posizione di sfinge, fissa l’osservatore con stupefatta incredulità: queste creature, come suggerito dal titolo, sono in realtà prodotte dalla stessa mente dell’uomo addormentato.
In un manoscritto conservato nel Museo del Prado, ritenuto autografo di Goya, vi si esprime un parere sul ruolo dell’arte: «La fantasia priva della ragione genera impossibili mostri: unita alla ragione è madre delle arti e origine di meraviglie». Dunque, la fantasia è alla base di tutte le creazioni. Se questa è lasciata fluire in modo incontrollato, senza l’aiuto della ragione, condurrà a mostruosità inesistenti, ma grazie alla ragione diventa strumento potente ed inesauribile.
In parte si tratta anche di una lotta con se stesso ed un viaggio nel proprio inconscio: i mostri, infatti, simboleggiano proprio quelle forme e quei processi mentali relegati negli abissi del subconscio; il sonno della Ragione ha permesso loro di uscire e opprimere l’uomo con orribili visioni prodotte dalla sua stessa anima.
Altro indagatore dell’inconscio è Salvator Dalì (Figueres, 1904-1989), pittore, scultore, scrittore, fotografo, cineasta, designer e sceneggiatore spagnolo.
Le sue opere, dense di simbolismo, suggerimenti onirici e aspetti surreali, sono spesso fonte di ispirazione per tutti gli artisti, in particolar modo per i tatuatori.
Molto ricorrente è il simbolo caratteristico degli “orologi molli” apparso per la prima volta in La persistenza della memoria che allude alle teorie dello scienziato Albert Einstein sulla relatività del tempo e che è stato ispirato da una forma di formaggio che si scioglieva al caldo sole di agosto.
Anche quella dell’elefante è un’immagine ricorrente nelle opere di Dalí. Comparve per la prima volta nell’opera del 1944, nel Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio, oggi a Madrid. Gli elefanti di Dalì hanno lunghe gambe filiformi, ispirate ad un piedistallo di una scultura del Bernini che si trova a Roma, e trasportano sulla schiena un obelisco. Le gambe, allusione “alle lunghe gambe del desiderio, con molte giunture e quasi invisibili” creano un forte contrasto con la mole dell’elefante (simbolicamente un’allusione fallica), provocando nello spettatore un forte senso di irrealtà.
Dalì stesso spiegava: “L’elefante rappresenta la distorsione dello spazio; le zampe lunghe ed esili contrastano l’idea dell’assenza di peso con la struttura”.
Il dipinto è ispirato ad un sogno della donna in primo piano, il grande amore di Dalì, Gala (Elena Ivanovna Diakonova, un’espatriata russa). La donna dorme serena, completamente nuda, su di una scogliera surreale mentre due tigri la stanno per aggredire. A destra nel dipinto da una melagrana spaccata esce un grande pesce. Dalla bocca dell’animale, poi, fuoriesce una grande tigre. Quindi un’altra esce dalla bocca della prima e l’azione prosegue con un fucile a baionetta la cui punta sta per toccare il braccio della donna distesa.
Tutta la scena ha un’atmosfera surreale ed incredibilmente immobile, una associazione di immagini scatenata dal rumore ronzante di un’ape che, secondo la donna, volava intorno al suo orecchio durante il sonno. Un’opera ricca di rimandi e suggestioni che hanno affascinato il pubblico per oltre 70 anni.
Il tatuaggio, se da un lato ha creato una sua iconografia artistica, riconoscibile anche territorialmente, dai tribali dell’area australe (tatuaggi Iban del Borneo, maori e marchesani ad esempio) ai simboli degli Old School, si rivolge anche ad altre forme espressive, ispirandosi a dipinti, immagini fotografiche, monumenti, statue ed iconografie per dare nuova vita, sulla pelle, ad opere ideate da culture lontane nel tempo e nello spazio.